Il giovane fauno si rivela
Mi avevano detto che il sentiero era interrotto dopo il ciclone di ottobre e che anche il ponte era sparito, travolto da migliaia di alberi abbattuti come stuzzicadenti.
Lo scempio è ancora davanti allo sguardo attonito della gente del luogo e dei villeggianti. La certezza che quei boschi che esistevano da centinaia di anni, avrebbero continuato ad esistere per sempre è stata annullata dal ciclone, che di notte, come la mano di un gigante, ha sferrato colpi qua e là, come se scegliesse per qualche sadica, misteriosa ragione quell'angolo della valle o del bosco, invece di altre.
Da quel momento, il rapporto tra gli abitanti di quel territorio e il mondo naturale è stato compromesso per sempre.
Spinta da un impulso irrefrenabile mi dirigo comunque verso il bosco che, al di là del torrente, sale ripido e immenso verso la montagna.
Subito dopo aver attraversato il ponte provvisorio di cemento, mi trovo davanti una barriera di tronchi e rami recuperati dalle gru forestali; in cima al mucchio l’enorme radice di un albero secolare, anche lui, malgrado la sua mole, strappato dal terreno come un fuscello. Sono sradicati da mesi ma l’odore buono del legno è ancora forte.
Mi inerpico nel bosco, non c’è sentiero e l’erba alta bagnata mi inzuppa le scarpe.
Anche qui corpi di alberi senza vita, le fronde abbandonate sul terreno, le radici protese verso il cielo, come zampe di un animale ferito a morte.
Deglutisco per la profonda cupa tristezza che mi prende alla gola. Come quando perdiamo una persona cara, mi chiedo > Perché loro e non gli altri? <
Alzo gli occhi come se la risposta dovesse arrivare da lassù, ma il cielo è oscurato dagli abeti che osservano da un’altezza considerevole la mia minuscola figura porsi interrogativi troppo grandi.
Appoggio la mano sulla corteccia ruvida di un grande albero, ne sfioro i licheni verdi che hanno trovato casa in quel tronco e distrattamente piango, nel bosco posso liberare la mia commozione, gli alberi capiscono che non è tristezza.
Risalgo la china e mi perdo subito nelle chiazze di sole che fanno brillare il bosco. Giovani alberi dalla trasparenza luminosa, come le minuscole gocce di pioggia sulle loro foglie. Sopra un sasso ricoperto di muschio, un giardino botanico in miniatura, dove hanno trovato posto piccole corolle verdi, bianchi licheni e felci neonate.
Le parti del bosco illuminate dai raggi che filtrano dalle chiome degli alberi, si accendono nella penombra del bosco, come se qualche prodigio vi avesse luogo. Quando le nuvole si muovono davanti al sole, l’incantesimo della luce si muove con loro dentro il verde: ora è l’erba alta punteggiata di giacinti selvatici ad risplendere, ora la chioma verticale di un abete, ora un menhir di pietra, ricoperto di muschio denso e setoso.
Quando invece il sole regna sovrano sull’universo che sto attraversando, allora tutto il bosco si illumina in una festa di cento, mille verdi in chiaroscuro. La sensazione che questi momenti rimangano un segreto tra me e gli alberi, rende tutto quello che accade ancora più speciale.
Mentre osservo le tessiture di verdi dalle sfumature in contrasto o in progressione, sento di non essere affatto sola, giro lo sguardo verso un punto lontano alle mie spalle. Una figura sottile e veloce appare e scompare dietro i grossi tronchi. Il giovane fauno si rivela poco dopo, risalendo verso di me, un ragazzino che cammina spedito con un lungo bastone in mano. Non mi ha ancora visto e guarda il terreno intorno come se cercasse qualcosa.
Non appena mi vede si ferma e mi esamina per un po’, deve essere stupito quanto me di incontrare un altro visitatore solitario nel bosco., che in più lo sta fotografando.
Si avvicina, ci guardiamo.
Chiedo > Ma vieni nel bosco da solo? <
> Sì, non abito lontano <
> Cercavi qualcosa? <
> Le tracce di un cervo <
> Ne hai visto qualcuno? <
> Si’ una volta una giovane cerva. <
> Come ti chiami? <
> Francesco e tu? <
> Gabriella .<
Stiamo per un attimo in silenzio, come se il non parlare faccia parte della conversazione. Mi dice che quella cerva si era fatta avvicinare da lui, ma quando l’aveva raccontato agli amici non gli avevano creduto, però a lui era piaciuto così tanto guardare il suo muso da vicino che continuava a cercarla per poterla avvicinare ancora.
> E’ una bella storia < gli dico, > Posso farti una foto,? < annuisce e sorride.
Ci salutiamo e riprendo la discesa verso il ponte.
Quando mi giro per un attimo, lo vedo ancora fermo a scrutare il terreno.
All’uscita dal bosco, il piccolo villaggio di Palue appare ancora più minuscolo sotto la montagna incoronata da enormi cirri bianchi.
Al rientro nello chalet tutto di legno di Jasna, scopro che l'amore per i libri abita in questo borgo. Qualcuno ha allestito sotto un fienile antico, una piccola biblioteca adorna di fiori e aperta a tutti: il cartello dice "Benvenuto. Prendi e lascia un libro".
Qualcun altro invece, si dice che sia un artista del luogo, si è costruito una casa molto particolare, in cima a un grosso masso. Se non fosse abbastanza chiaro, un cartello avverte: "Apprezzo la compagnia. Amo la solitudine."
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