Un villaggio grazioso sulle montagne di Creta
Il cartello che promette una farmacia ”verde” mi accompagna, curva dopo curva, per i 15 km che da Elafonissi portano al villaggio di Elos. Sulla montagna brulla, macchiettata dai cespugli argentati dell’ebenus, che i cretesi chiamano poupoulo, la strada procede su strapiombi da brivido, spesso ingombra di pietre che scivolano giù dalle alture. All’entrata del paese, su una terrazzetta bianca, davanti a un enorme castagno carico di giovani ricci di un bel verde brillante, un’anziana vestita di nero fissa immobile l’orizzonte. Prima di entrare nel villaggio, all’ennesimo baracchino che offre miele, olive e raki, i visi rugosi di una coppia di anziani si accendono al mio passaggio, ma solo per un attimo. Davanti a loro una capra è intenta a mangiare da un cespuglio spinoso, le mammelle cariche di latte sfiorano il terreno. Tutto appare sospeso in questa tarda mattinata, rovente anche quassù.
Mi fermo alla panetteria all’entrata del paese, un forno enorme dove il profumo dei biscotti appena sfornati lascia senza respiro: una donna li sta togliendo con cura dalla teglia e me ne porge uno. Piacere assoluto. Ne faccio una buona provvista, insieme ai grissini con semi di sesamo, sono così buoni che so già che non dureranno molto. Scherzo con il panettiere che parla solo greco e per chiedergli di che tipo di latte è il formaggio usato per i magnifici kalitzuni esposti, imito il verso della mucca e della pecora. Da quel momento, l’uomo mi indica ogni cosa esposta ripetendo i muuuu e i beeee, ridendo di gusto insieme a me, alla panettiera e a un cliente appena entrato. Mentre sto uscendo, mi dice con un sorriso, in un italiano stentato: “Italiani e greci, fratelli!”.
Supero il cuore pulsante di Elos, le tre taverne affiancate sono ancora deserte e i camerieri occhieggiano in attesa, chiacchierando tra loro. Risalgo una stradina stretta e tortuosa che porta chissà dove, sicura che i turisti rimarranno come sempre ancorati alla prima taverna. La ricompensa arriva con uno scenario formidabile, antiche mura ad archi incorniciano un platano secolare, una fonte d’acqua zampilla accanto ai tavoli apparecchiati di una piccola taverna, sullo sfondo, un ponticello sovrasta un minuscolo torrente. Immobile, sotto una delle arcate, una donna con un grembiule bianco, mi fa un cenno di saluto appena faccio il mio ingresso nell’incredibile scenografia.
Si chiama Sofia, parla solo in greco, ma riesce a spiegarmi che le mura sono dell’anno 1000 e a indicarmi un piccolo monastero alle spalle del gigantesco platano. Mentre mi avvio, alzo la testa per ammirare l’immensità dell’albero sempreverde, sacro ai cretesi, perché sotto le sue fronde, Zeus concepì con la principessa Europa, i tre mitici re di Creta. In un momento storico come quello che la Grecia sta vivendo, fa un po’ sorridere pensare che la dinastia aristocratica greca sia imparentata con l’Europa.
La cappella appare dorata tra le fronde degli alberi che l’attorniano, minuscola e compatta come una piccola fortezza. Sofia mi ha detto che è dedicata a San Giovanni Teologo e risale al 14mo secolo. All’interno, alcune iconografie del santo, la volta e un’abside ricoperte di affreschi, che malgrado le pessime condizioni dimostrano l’importanza di questo gioiello dell’ arte bizantina.
Il misticismo, che impregna l’aria insieme al profumo di cera, mi impone di sedermi e raccogliermi in me stessa. Una bambina entra curiosa, si fa il segno della croce, bacia l’immagine di San Giovanni, accende una candela e mi interroga con gli occhi dove debba metterla. Le indico un supporto dorato pieno di sabbia, dove anch’io pongo una candela accesa. La religiosità non ha confini di nome o di razza, è quel sentimento che fa percepire nel mondo reale, l’esistenza di una dimensione metafisica, che da il senso dei propri limiti rispetto alla grandiosità dell’universo.
All’uscita, mi sorprendo per un altro gigante verde che non riconosco, Sofia riappare, coglie il mio sguardo e lo indica > E’ un avocado <, mi fa anche capire a gesti che l’ha piantato lei tanti anni fa.
Si avvicina una giovane donna bruna, bellissima, la pelle lattea, vestita di nero, Sofia me la presenta, è Despina, sua figlia e parla inglese. Questi sono i momenti per cui viaggio, quando due sconosciute si incontrano e si raccontano, come vecchie amiche, vita, aspirazioni, esperienze. Questo è il senso del viaggio, così fertile di incontri quando viaggi da solo.
Un’energia vitale scorre tra noi e le parole fluiscono tra sorrisi e confidenze, fino a quando un uomo la chiama con un piglio autoritario e le indica dei clienti che stanno arrivando alla locanda. Ci lasciamo con la promessa di rivederci la domenica dopo a colazione, quando passerò di lì per andare a Paleochora.
La famosa farmacia Green, i cui cartelli stradali mi hanno accompagnato fino lì, è proprio davanti all’ultima taverna del villaggio; entro e passo in rassegna l’immensa varietà di prodotti cosmetici, seguita dallo sguardo affabile del farmacista. Scopro che è una fonte di conoscenza delle erbe che raccoglie insieme a sua madre e maestra, con cui realizzano i prodotti di bellezza esposti. Compro un olio per capelli che si rivelerà straordinario e capisco perché, salutandomi, mi dà il suo biglietto da visita “ per qualunque cosa abbia bisogno”, ha capito che avrò sempre bisogno del suo magnifico olio. Così come, dopo tanti viaggi a Creta, mi sono appassionata alle erbe medicinali che popolano l'isola, tra cui quelle più aromatiche chiamate Votana, perché oltre ai poteri medicinali si dice che abbiano poteri magici. Nelle botteghe di erbe, alcune con enormi alambicchi con cui le trasformano in oli essenziali, ho sempre trovato insieme ai prodotti, storie di incantesimi e leggende avvincenti della medicina popolare cretese.
Sulla strada del ritorno, passo davanti alla scultura di un uomo con una lapide incomprensibile; mostrando la foto a Jorgos scoprirò che si tratta del grande capitano dell’esercito greco, Tzanakakis, nato a Elos, che ha combattuto eroicamente i tedeschi nell’ultima guerra. Jorgos ha anche aggiunto
sottovoce, molti di quelli che vengono qui si direbbero ancora nazi.
In una curva in discesa verso Elafonissi, l’oro brillante dell’erba secca che fluttua nel vento, le chiome degli ulivi cariche di frutti, mi impongono una sosta. Non smetterò mai di fotografare gli ulivi di cui posseggo centinaia di immagini, la loro bellezza è irresistibile. Penso spesso a quelle semplici intense parole di Pessoa: ” ..l’ulivo dal volume argentato, stirpe austera, nel suo ritorto cuore terrestre…”.
Mi inoltro nell’uliveto, cammino sul tappeto dorato cercando nel tronco di ogni ulivo una storia, alla fine la trovo, nell’ultimo scatto. Vi ho detto che ci sono alberi che hanno una faccia? Se osservate bene l’espressione, ne scoprirete la storia. Questo ulivo, vecchio di decenni, ha l’espressione un po’ sgomenta di chi, a bocca spalancata, assiste al nonsenso della vita.
Ricordo quello che mi diceva un giovane scultore incontrato in Sardegna, che scolpiva tronchi di alberi morti > Io non creo niente, svelo solo la presenza che c’è nell’albero <
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"...mi sfilo i sandali e cammino a piedi nudi nel ruscello che porta nel canyon.."
The spirit of the tree..👍